Perché la Silicon Valley è nell’area metropolitana della baia di San Francisco? Spesso la si riconduce alla prima azienda a cui diede i natali, la Hewlett Packard, fondata nel 1939 e allo Stanford Research Park.
Indubbiamente vero, del resto è quello che scrive Wikipedia, però si tratta di una altissima concentrazione di aziende tecnologiche, qualcosa che è successo solo lì, senza che vi fosse una intenzione o specifici investimenti governativi.
Non è un distretto industriale bensì un agglomerato che vale, in termini di valore lordo, quanto una nazione europea. Un’area dove cultura tecnologica e d’impresa hanno incontrato una elevatissima scolarizzazione: a Menlo Park quasi il 70% dei residenti di età superiore ai 25 anni ha conseguito (almeno) una laurea.
Come mai questo non è avvenuto nell’area metropolitana di Boston, dove c’è l’università scientifica più rinomata al mondo, il MIT. O nella zona di New York, dove l’IBM operava già da cinquant’anni.
Quando, nel 1971, il giornalista Don C. Hoefler chiamò, per la prima volta, quest’area con l’appellativo di Silicon Valley, egli collegò almeno 15 aziende operanti nel mondo dei semiconduttori con una sola capostipite. Alcune di queste aziende rispondono al nome di Intel, AMD e National. La ricerca fu denominata l’albero genealogico della Silicon Valley e si stima che il 70% delle 130 aziende quotate al NASDAQ di New York abbiano dipendenze con le persone e la cultura della Fairchild Semiconductor.
Certo, William Shockley, l’inventore del primo «diodo a 4 strati» era di Mountain View ed era alla ricerca di finanziatori, quando varie vicissitudini portarono parte della sua azienda sulla rotta di Sherman Fairchild e il governo americano in affanno nella rincorsa spaziale all’Unione Sovietica.
Prima di allora, durante la Seconda Guerra Mondiale, San Francisco accolse i cantieri navali necessari a coprire la richiesta di navi da battaglia e si trasformò nel principale porto d’imbarco per la guerra del Pacifico. Fu l’industria degli armamenti, ad attirare nell’area ingegneri provenienti da ogni parte degli Stati Uniti.
Questo combinato alla voglia dei coniugi Stanford di adottare figurativamente, nel loro ranch, tutti i ragazzi della California dopo la perdita del loro unico figlio creò le condizioni affinché l’omonima università si specializzasse nel campo tecnologico.
Fu così che negli anni Cinquanta, otto giovani ingegneri e fisici «scapparono» dallo stile di management troppo maniacale della Shockley Semiconductor Laboratory e grazie ad alcuni investitori della East Cost, tra cui Sherman Fairchild, affascinato dalla passione delle presentazioni, ottennero fondi sufficienti per costituire la Fairchild Semiconductor.
Julius Blank, Victor Grinich, Jean Hoerni (inventore del processo planare, grazie al quale ancora oggi vengono realizzati i circuiti integrati), Eugene Kleiner, Jay Last, Sheldon Roberts, Robert Noyce (inventore del circuito integrato), e Gordon Moore. Furono loro a identificare l’opportunità dei semiconduttori in silicio per miniaturizzare e rendere più affidabili i componenti elettronici degli apparati aerospaziali. Cosa che canalizzò ingenti commesse militari.
La crescita che ebbe in termini di velocità, fatturato, numero di collaboratori e impatto sulla società locale è paragonabile solo a quella di Google, quarant’anni dopo. Così come lo stile di management che venne introdotto per la prima volta, meno burocratico, più tollerante verso chi si assumeva dei rischi, e una forte propensione ingegneristica può essere inteso come l’archetipo di quanto verrà realizzato in Intel, Apple, Google, Facebook, ecc.
La famosa Legge di Moore, che enuncia il raddoppio del numero di transistor per ogni chip che possono essere fabbricati con economicità ogni due anni, che tutti sanno essere del fondatore di Intel, fu formulata ai tempi in cui dirigeva il reparto R&D della Fairchild.
La storia moderna è nota a tutti, anche se c’è ancora qualcosa da scoprire su come queste corporazioni stanno cambiando le nostre vite.